Penso ad intere famiglie spezzate allo stesso modo.
Dormiamo dalla signora, nella verdissima campagna fuori Idlib.
Condividiamo le cene serali e le colazioni notturne, siamo in Ramadan e di giorno i si astiene dal bere e mangiare.
Il giorno dopo dormiamo invece al campo di Atma, da Bakri. A casa sua, con la sua famiglia. Pochissime le comodità, grande l’ospitalità.
Siamo a casa, siamo fra amici. Questo ci portiamo dentro nel salutarci, quando passiamo il confine alla fine del terzo giorno.
Nei tre giorni abbiamo visto molto, visitato chi ci aspettava dalla missione precedente, consegnato e montato le prime tende, distribuito cibo e supporti economici.
Ancora macerie negli occhi, ancora un’umanità randagia.
Bambini bellissimi e sorridenti che giocano sui pattini fra macerie e polvere. Non sai se commuoverti o arrabbiarti.
Non sai se chiedere con la speranza o accendere una nuova fiammella.
In Turchia andiamo al campo per verificare le attività della tenda Scuola, fare dei test sull’apprendimento, incontrare le famiglie che sosteniamo capillarmente, consegnare aiuti, incontrare Fatima che produce monili fatti con le perline da lei e dalle sue amiche. Prendiamo ciò che hanno creato e lasciamo quello che hanno guadagnato, grazie ai nostri sostenitori che hanno risposto al nostro appello e li hanno acquistati tutti.
La giornata è tiepida e ci concediamo una brevissima visita al mare, dista solo cinque minuti in macchina. E ricordiamo quando, qualche anno fa, abbiamo portato tanti bambini a fare il bagno.
Abbiamo una storia di dieci anni con gli abitanti del campo e comincia ad essere piena di ricordi, avventure e pezzi di vita, di crescita.
Si torna a casa. Sempre un po’ più ricchi, sempre un po’ diversi.