Le missioni sul confine siriano sono sempre rischiose e difficili da programmare, bisogna organizzare dall’Italia la sicurezza e le distribuzioni di cibo e beni di prima necessità, aiutati da contatti e associazioni locali.
Ma quando si parte sappiamo già che l’imprevisto è sempre all’ordine del giorno.
Si deve solo cercare di gestirlo, senza eccessivo panico.
Siamo partiti Io (Arianna) ed Andrea, pronto a scattare le sue meravigliose foto ai nostri piccoli bambini.
Personalmente non sono partita tranquilla, meno di altre volte intendo dire.
Eravamo stati minacciati, come già accaduto, ma stavolta la minaccia aveva un nome ed una concretezza diversa.
Non si tratta di essere eroi ma abbiamo cercato di calcolare bene ogni mossa e ogni rischio e, una volta arrivati, deciso di esporci e andare ai campi solo a fronte di garanzie. Almeno minime.
Il caldo era soffocante, davvero da stare male e alcune cose hanno iniziato ad andare storte. Per esempio il noleggio del furgone su cui carichiamo i pacchi alimentari, il numero dei pacchi, la scorta che non si trovava.
Se ci si lasciasse andare allo sconforto, ogni missione salterebbe. Io e Andrea siamo affiatati e basta poco per capirci e supportarci, anche quando la fatica ti mette a dura prova e le ore di sonno sono poche.
Arrivati al campo la situazione che abbiamo trovato è sempre più tragica: le famiglie aumentano e l’esasperazione rende queste persone, che vivono da anni in miseria e disperazione, a volte difficilmente gestibile.
Ma è sempre meraviglioso rivedere bambini che conosciamo e supportiamo da anni, bambini che ci corrono incontro e ci chiamano per nome. Sedersi nelle tende di adulti che cercano di farci stare bene con il poco che hanno (stavolta era Ramadan però… J ).
La distribuzione è un momento che qualche tempo fa poteva dirsi caotico, ora è ben organizzato con liste e nomi delle persone a cui spetta il pacco. Tutto questo grazie ai contatti e amici che ormai abbiamo al campo.
Questa volta abbiamo previsto pacco doppio per i numerosi orfani, gli stessi a cui a Marzo avevamo portato le barrette energetiche.
Questa volta eravamo senza il medico, impegnato in Iraq, e purtroppo la parte sanitaria è stata quasi nulla ma fortunatamente non abbiamo visto casi gravi come spesso invece capita.
E poi il tempo per i bambini, seduti per terra a mostrare loro le nostre vite e le loro piccole e vuote esistenze donate a noi.
Li conosciamo quasi tutti, li chiamiamo per nome. Li abbracciamo e ci innalziamo al loro livello superiore, quello dell’innocenza.
Dell’innocenza e dei sorrisi anche dopo 12 ore di lavoro nei campi, sfruttati e feriti nell’anima e nella dignità.
Bambini senza sogni, senza genitori e senza futuro. Invisibili, fragili come ali di farfalla ma che sanno donare più di quello che ricevono.
Non andiamo mai via a mani vuote: un piccolo anello di plastica, un disegno o un frutto.
Il senso profondo di aver fatto il possibile ma non abbastanza , perché nessun bambino, nessun essere umano, dovrebbe vivere aspettando elemosine altrui.
Eppure il nostro aiuto può fare ed ha fatto la differenza tra la vita e la morte.
E’ stata una missione breve, di corsa. Due soli giorni, pericolosa e concitata.
Ma tutto è andato bene e sappiamo che non potremmo fare altro che tornare presto.
Una promessa fatta ad occhi di bambino.